TOMMI for pediatrics

Indice

  1. Dott.ssa Maria Teresa Giordano: la psicologia dei pazienti pediatrici e dei loro cari
  2. Valentino Megale (Softcare Studios): la Realtà Virtuale come supporto alla terapia
  3. Katty Lauriola: implementazioni di TOMMI e casi-studio
  4. Conclusioni
  5. Fonti
Bambina malata e sola
Il disagio psichico del bambino.
Foto di “7giorni.info“.

I bambini affetti da malattie gravi, nonostante la giovane età, si trovano ad affrontare situazioni difficili, che non sempre riescono a vivere con positività.
Evitamento delle terapie, capricci, dispetti e insofferenza sono solo alcune delle manifestazioni di disagio che un bambino può mettere in atto.

Per venire incontro al bisogno di distrazione e di alleggerimento del clima terapeutico gravoso, una software house tutta italiana ha creato TOMMI, un insieme di attività e giochi fruibili con la Realtà Virtuale (VR) ambientati in un mondo magico in cui il bambino si immerge prima, durante o dopo il trattamento.

Con l’aiuto di tre ospiti, in questo articolo approfondiremo: i principali problemi e disagi psico-fisici che i pazienti possono avere nell’affrontare una terapia; che cos’è TOMMI, come funziona e che tipo di innovazione ha portato nell’ambito della terapia pediatrica; infine, alcuni casi-studio dell’uso di TOMMI direttamente sul campo.

Dott.ssa Maria Teresa Giordano

Dott.ssa Maria Teresa Giordano: la psicologia dei pazienti pediatrici e dei loro cari

Per comprendere come intervenire positivamente all’interno di una terapia è necessario imparare a capire quali sono i vissuti psicologici ed i problemi che i pazienti vivono durante il percorso di cure.
Per fare questo abbiamo intervistato la Dottoressa Maria Teresa Giordano, psicologa presso la Fondazione Don Carlo Gnocchi di Milano, e docente di psicologia clinica, sociale e del lavoro presso l’Università degli Studi di Milano.

Dottoressa, quali sono i principali effetti psicologici che una malattia ha sulla psiche di una persona?

L’evento “malattia” (intesa come malattia grave, invalidante, o, peggio, con esito nefasto) è una condizione potenzialmente traumatica, in quanto non consente il soddisfacimento di nessun bisogno.
Facendo riferimento alla teoria dei bisogni di Maslow (1954)1, sono molteplici i bisogni che una malattia rende insoddisfabili:

  • il bisogno fisiologico di salute: naturalmente, la condizione di malattia provoca dei sintomi, dei problemi a livello fisiologico, che provocano danni e/o malfunzionamenti nell’organismo; senza la terapia, questo bisogno non può essere soddisfatto.
  • Il bisogno di sicurezza: questo bisogno è frustrato in quanto la malattia mette fortemente in discussione il “sano senso di onnipotenza” che consente all’individuo di non sentirsi costantemente in pericolo.
  • Il bisogno di appartenenza/socializzazione: questo riguarda soprattutto le malattie che richiedono lunghe degenze o frequenti ospedalizzazioni; non potendo interagire con i propri cari o con propri coetanei, i pazienti sviluppano un senso di solitudine e disagio.
  • Il bisogno di stima: questo bisogno viene ostacolato dalla malattia in quanto l’individuo potrebbe assumere una posizione di autocolpevolizzazione, oppure identificarsi con la malattia, e per questo sentirsi “inferiore” alle persone “sane”.
  • Il bisogno di autorealizzazione: questo bisogno, seppur meno essenziale rispetto agli altri, è comunque molto importante per un individuo; la malattia, in questo senso, ostacola la persona non consentendole di condurre la propria vita liberamente, di non poter progettare il proprio futuro come prima.

In generale, dunque, mentre in assenza di malattia si può dire: “io posso…”, in presenza della malattia diventa preponderante dire: “io non posso…“.
Tutto questo può determinare un profondo senso di malessere psico-emotivo, con possibili ricadute sul piano fisico come somatizzazioni2 o indebolimento del sistema immunitario conseguente alla deflessione del tono dell’umore.

Tutti questi effetti sono riscontrabili anche su un paziente di età pediatrica?

Naturalmente anche per i bambini l’esperienza di una malattia grave ha un costo psicologico elevato, anche se essa non comporta limitazioni importanti o può essere integrata nella storia individuale e familiare.
Si tratta infatti di una condizione di elevata insicurezza: lo stato emotivo del bambino segue quello dei familiari, che oscilla tra disperazione e speranza.
La condizione di malattia sollecita nel bambino, anche piccolo, riflessioni e consapevolezze molto avanzate rispetto ai propri coetanei; l’esperienza della malattia, contrassegnata da sentimenti spiacevoli, può assumere, anche per il bambino, l’immagine di una condizione di perdita, di solitudine, di rabbia.
Inoltre, questo evento può diventare un modo per leggere le vicende personali successive, percepite come risarcimento, se favorevoli, oppure come inevitabile conseguenza o ulteriore punizione, se sfavorevoli.

I genitori ne risentono? Come?

Ovviamente non solo l’individuo malato risente di tutto questo. Anche i familiari possono sperimentare la frustrazione di alcuni bisogni: il bisogno di sicurezza, come visto prima, coinvolge anche chi sta intorno al malato, la relazione d’amore, la stabilità familiare, il futuro, il timore della perdita; il bisogno di appartenenza con il familiare a lungo ospedalizzato e lontano da casa; il bisogno di autorealizzazione, non potendo progettare a lungo termine, realizzare i propri obiettivi, desideri, sogni.
La preoccupazione per il malato può, a volte, diventare il centro attorno a cui ruota la loro vita. Alcuni si sentono spaventati, e senza rendersene conto, si allontanano dalla persona malata; possono non capire cosa stia accadendo; pensare che la malattia non sia poi così grave.

Piramide dei bisogni di Maslow
La teoria della “Piramide dei bisogni” di Abraham Maslow.
Foto di “puzzlefactory.pl“.
Questi disagi psicologici cosa comportano, nel concreto, per il paziente?

La diagnosi di un malattia grave ha un impatto psicologico sull’individuo: si accompagna ad emozioni, sensazioni, cambiamenti, a una differente percezione di sé e del mondo circostante, ad una serie di esperienze che modificano molti aspetti della vita.
Inizialmente, si possono riscontrare reazioni di angoscia, paura, rabbia, tristezza e senso di isolamento.
Si possono inoltre attivare meccanismi di difesa a tutela dell’equilibrio psichico, come la negazione: il malato desidererebbe che tutto ciò non fosse mai successo, oppure non attribuirebbe la giusta importanza alla diagnosi (inizialmente non prova nessuna emozione particolare, pensa ad un errore dei medici, evita le visite).

Nell’affrontare la malattia, un individuo percepisce lo sconvolgimento della propria vita, e può sentirsi arrabbiato. Talvolta il soggetto esprime questa rabbia come ostilità diretta contro le persone circostanti, facendo loro del male e danneggiando, di conseguenza, se stesso.
Oppure può accadere che il malato si ritrovi a porre condizioni alla realtà, come se potesse negoziare, raggiungere un accordo con qualcosa o qualcuno per rendere più tollerabile quello che sta succedendo.
Subentra, poi, un senso di rassegnazione in cui sembra non avere altra scelta che sopportare la realtà. Con l’insorgere della consapevolezza può subentrare uno stato di apatia con demotivazione verso le attività abituali o le relazioni interpersonali.

L’evento malattia, dunque, determina un lutto da elaborare3: la propria condizione di salute.
Per un bambino, in particolare, la malattia può avere ripercussioni sul percorso psichico evolutivo, con rischio di fissazione o regressione, con uno stato di dipendenza; può rappresentare un alibi per quanto il bambino si sente “esonerato” nella propria parte di responsabilità rispetto agli impegni, alle relazioni, alla vita in generale.
A seconda dell’età, la malattia può essere percepita come un evento aggressivo esterno, fonte di tortura e/o castigo verso colpe imperdonabili, oppure come una situazione di perdita.

Quali sono invece le conseguenze nei parenti (o caregivers)?

Il familiare deve scontrarsi con il senso di perdita dei progetti, deve avviare un processo di elaborazione del cambiamento nel suo rapporto con la persona malata, imparare a comprendere e a gestire le emozioni che prova per evitare che si ripercuotano sulla persona malata.
Il caregiver può sentirsi in colpa per l’insorgenza della malattia, sentirsi in obbligo di dedicarsi totalmente al familiare, privandosi di ogni spazio personale, come fosse un torto al malato.
Può subentrare la tendenza all’iperprotezione del familiare malato e di tutti gli altri componenti, forti stati d’ansia, somatizzazioni, la ricerca compulsiva, impegnando tutte le proprie risorse psico-fisiche ed economiche in “viaggi della speranza”, di qualcuno che smentisca la diagnosi e che ripristini la normalità.
Dunque, anche il familiare ha un lutto da elaborare: la perdita dello stato di salute della persona cara.

Mamma e figlia malata oncologica
Il supporto di una mamma alla propria figlia, malata oncologica.
Foto di “peterpanonlus.it“.
I disturbi dei parenti hanno a che fare con la riluttanza del paziente ad affrontare la terapia?

Certamente. Il malato ha bisogno di trovare nel familiare conforto, comprensione, sostegno, coraggio, propositività. Diventa importante che il familiare continui a vedere in lui la persona con delle risorse, capacità, potenzialità per affrontare la malattia, che lo stimoli ad essere attivo e non passivo, lo aiuti ad essere se stesso e a superare gli ostacoli che incontra.
Prendersi cura di qualcuno significa aiutarlo a raggiungere gli obiettivi prefissati mantenendo le autonomie residue. Molte volte il familiare si dedica al malato con un’intensità tale da non permetterle di prendere decisioni o di fare ciò che ritiene opportuno.
Prestare assistenza non vuol dire invadere l’intimità
dell’altro, impedirgli di decidere o di comportarsi nel modo che reputa giusto; la situazione di maggiore vulnerabilità non implica il dover annullare la propria dignità o il diritto di controllare la vita altrui.

Non dimentichiamoci di parlare di un gruppo di soggetti: i fratelli/sorelle del malato. Anche loro subiscono delle ripercussioni psicologiche a causa della malattia del proprio caro?

Questo insieme di individui, in psicologia, viene comunemente identificato con il termine siblings4.

Il rapporto fraterno ha delle caratteristiche specifiche di reciprocità e di intensità che lo distingue da tutti gli altri rapporti di vita, compreso quello con i genitori.
I fratelli condividono la generazione d’appartenenza, il contesto familiare e sociale di crescita. La relazione fraterna è, almeno in partenza, paritaria senza essere una relazione adulta basata su una scelta; i fratelli condividono l’amore e le attenzioni delle figure di riferimento, quelle che aiutano a crescere e verso cui si prova una fisiologica dipendenza.
Essere fratelli non è sempre facile, poiché la relazione è trasversale alle diverse fasi della vita; tuttavia è un’occasione significativa di “sperimentazione” di legami di reciprocità difficilmente replicabile in altri assetti relazionali.

Avere un fratello/sorella malato può implicare lunghi periodi di lontananza da questi e dal genitore che se ne prende cura nei periodi di degenza, può portare il genitore ad essere più solerte verso il paziente, producendo nel rabbia, gelosia, sensi di colpa per provare queste “emozioni cattive”.

Un individuo di questo tipo, indipendentemente dalle spiegazioni razionali fornitegli, potrebbe pensare che è talmente arrabbiato dentro di sé che in qualche modo la sua rabbia ha finito con il far male al proprio fratellino/sorellina5.
Si colpevolizza in maniera indiretta del fatto che il fratello/la sorella stia male; di conseguenza, si deprime, diventa triste e rabbioso. Quindi, comincia a protestare, a fare i dispetti, ad avere richieste di attenzione per se stesso.
La vita quotidiana, proprio perché la mamma è costretta ad occuparsi tanto di questo fratello/sorella e ad allontanarsi parecchie volte con lui, non fa altro che confermargli di essere stato messo da parte.

Bambina malata oncologica e sibling
Una bambina con la sorella, malata oncologica.
Foto di “repubblica.it
Valentino Megale

Valentino Megale (Softcare Studios): la Realtà Virtuale come supporto alla terapia

In questo panorama di emozioni negative, sensazioni spiacevoli e cambiamenti, il piccolo paziente può spesso manifestare insofferenza rispetto alle terapie. Esse, infatti, provocano disagio, disturbi o addirittura dolore fisico, che naturalmente il bambino preferirebbe non subire.
Da ciò, dunque, nascono reazioni di evitamento, di opposizione o di contrasto alla terapia (come piangere o fare i capricci); queste manifestazioni di dolore, tuttavia, creano anche difficoltà e disagio all’operatore sanitario, non consentendogli di svolgere la propria mansione.

In questo campo, la software house italiana Softcare Studios6 ha lanciato nel 2018 TOMMI, un progetto videoludico di Realtà Virtuale per intrattenere e distrarre i pazienti pediatrici prima, durante e dopo la terapia.
Ne parliamo nel dettaglio con Valentino Megale, PhD in neurofarmacologia e CEO di Softcare Studios.

Softcare Studios: da progetto ad impresa

Il team di Softcare Studios
Il team di co-founders di Softcare Studios.
Foto di “tommigame.com
Valentino, che cos’è e come è nato il progetto Softcare Studios?

Softcare Studios è una startup innovativa in salute digitale, con sede a Roma, nata nel 2017.
Dopo aver vinto l’Hackaton 20167 di Roma, il nostro progetto è nato e cresciuto all’interno diversi programmi di accelerazione, il primo in particolare presso l’Innovation Center di Merck Group8, in Germania, nel 2017.

Proprio in occasione di questo programma abbiamo portato il nostro primo prototipo di TOMMI; questo è un software di Realtà Virtuale che viene fornito ai pazienti pediatrici, a supporto delle tradizionali terapie in ambito oncologico, odontoiatrico e ortopedico. TOMMI serve a ridurre gli stati d’ansia e di dolore del bambino, per affrontare meglio la terapia e permettergli di essere più collaborativo con il personale medico.

Una volta tornati in Italia abbiamo deciso di convertire la nostra idea in progetto d’impresa: così nasce Softcare Studios. Siamo cinque co-founders, distribuiti in tutta la penisola (da Torino, Milano, Roma, Bari, Pescara).
Il nostro principale obiettivo è quello di sviluppare strumenti VR adibiti alla gestione dello stress nei pazienti e alla loro educazione alla terapia. TOMMI è stato il progetto pilota, e a partire dal 2019 siamo riusciti a sviluppare e proporre nuovi software pensati per nuovi e diversi tipi di utenti, come soggetti adulti e anziani.

Cosa vi ha spinto a pensare al progetto TOMMI? A quali tipi di bisogni volevate trovare una soluzione?

In origine, la sfida lanciata da Merck era quella di trovare un sistema o uno strumento che permettesse di aumentare l’aderenza terapeutica nel paziente pediatrico, utilizzando meno farmaci e cogliendo le potenzialità delle tecnologie digitali.
In primo luogo, è stato necessario capire cosa sia l’ “aderenza terapeutica”, capire quali fossero le condizioni e le necessità che vivono i pazienti pediatrici; da qui dunque inizia una ricerca dello strumento più opportuno per soddisfare queste necessità.
Io, dato il mio percorso accademico, mi sono dedicato alla ricerca in ambito neurofarmacologico; i miei colleghi, ingegneri biomedicali, si sono dedicati invece allo sviluppo software e all’interazione tra interfaccia e paziente.

Nel tempo, abbiamo potuto riscontrare come la necessità principale (quella appunto di ridurre la sensazione di disagio e stress) ha una componente soprattutto mentale; perciò, per poter aiutare il paziente ad essere più aderente alla terapia sarebbe stato necessario apportare dei miglioramenti allo stato mentale, sociale ed emotivo del soggetto.

Come, dunque, ottenere questo risultato senza farmaci e sfruttando le nuove tecnologie digitali?
Sfruttando le nuove “neuro-tecnologie” o in generale le tecnologie immersive (come appunto la VR). Esse sono utili per coinvolgere la mente del paziente, guidare le sue reazioni verso stati mentali più positivi nei confronti della terapia e supportare la sua motivazione, il suo engagement durante la terapia senza somministrazione di farmaci.
La nostra scelta è ricaduta sulla Realtà Virtuale per diversi motivi, uno su tutti la sua validazione scientifica (infatti, la VR è validata a livello terapeutico fin dagli anni ‘80/’90); inoltre, le nuove possibilità di accesso a visori più comodi, portatili e a basso costo rende la Realtà Virtuale più accessibile all’interno dell’ambito ospedaliero.

La VR dunque è stata l’opzione migliore tra alcune possibilità; quali sono i motivi principali per cui avete scelto questo tipo di tecnologia?

La Realtà Virtuale è una “tecnologia cognitiva”, che quindi va a coinvolgere la sfera cognitiva ed emotiva della persona, che è quella poi maggiormente coinvolta nella sensazione di disagio e stress legata all’ospedalizzazione.
Ci sono tanti altri aspetti vantaggiosi legati alla VR, quali per esempio la possibilità di raccogliere dati (e dunque di eseguire un continuo monitoraggio del paziente, ndr); ancora, è una tecnologia estremamente portatile e flessibile, quindi duttile e utilizzabile in diversi reparti e in diversi ambienti anche contemporaneamente.
Fondamentalmente, la Realtà Virtuale è uno “space on demand” o una “experience on demand”, quindi è possibile richiamare diversi spazi, diversi ambienti – potenzialmente infiniti – all’interno di uno stesso dispositivo. Infine, naturalmente l’immersività e la distrazione immersiva, che la VR permette, generano un tasso di efficacia e di distrazione totale ed avvolgente.

Di conseguenza la VR è il “migliore” anche della Realtà Aumentata (AR), per esempio, in questo ambito?

Fondamentalmente sì, perché per quanto uno spazio ospedaliero possa essere abbellito, il malessere che il paziente vive nel momento dell’ospedalizzazione non può essere migliorato o lenito attraverso dei miglioramenti estetici ad un ambiente di per sé stressante (un luogo in cui non vorremmo rimanere e investendo del tempo che potremmo usare in modo diverso).
Con attività meno immersive il paziente si distrae, è vero, però il suo livello di distrazione rimane comunque basso, poiché può vedere altri pazienti, oppure il personale medico. Si tratta effettivamente (soprattutto per quanto riguarda soglie del dolore e stati di ansia) di aumentare il tasso di distrazione relativa all’attenzione dedicata alla percezione del dolore; con la Realtà Aumentata si riesce ad ottenere un risultato “a metà”, poiché il problema permane.
Invece con la Realtà Virtuale vi è una distrattività a livello audio-visivo talmente coinvolgente e avvolgente da riuscire a distogliere completamente l’attenzione del paziente.

Chiaramente, anche i contenuti VR non hanno tutti lo stesso grado di immersione: i video registrati a 360°, per esempio, sono poco immersivi rispetto a un’attività interattiva.
Questo tipo di strumento è necessariamente “multifattoriale”, poiché coinvolge aspetti tecnici di progettazione e sviluppo, un setting di utilizzo, diversi tipi di contenuto.
In definitiva, è la combinazione di tutti gli elementi che determina l’efficacia, non lo strumento “vuoto” in sé; non è “la VR” in sé, ma “come la VR” viene utilizzata e messa in campo.

Per progettare al meglio un’interfaccia come questa è più importante lo sviluppo e la cura dell’interazione o della immersività?

L’interazione è un aspetto importante, fondamentale poiché permette di confermare attraverso un’azione gli elementi di realtà che vengono recepiti attraverso i sensi; tuttavia, dipende sempre tutto da come questa interazione viene progettata, e come gli stimoli vengono forniti all’utente.
Se gli stimoli vengono forniti in maniera non coerente, allora la mente si rende conto che qualcosa non va, che è un trucco, e allora non crede all’ “illusione” generata; di conseguenza, l’utente avrà minore coinvolgimento, minore distrazione ed una minore efficacia dello strumento.
Se si riesce a giocare bene con l’immersione e sfruttare tutti i parametri (come ad esempio la competizione, la gamification), allora il lavoro può procedere nella direzione giusta.

Questi molteplici fattori, dunque, fanno sì che si formi una sensazione di “presenza“, ma può non essere sempre così. Tanti elementi entrano in gioco in questo ambito: l’esperienza, essendo soggettiva, è variabile a seconda del contenuto, del contesto, dello stesso utente; è una combinazione da verificare sempre sul campo pratico.
L’immersione, in sostanza, non è altro che un aspetto “tecnologico”, mentre la presenza è la controparte psicologica di sentirsi immersi in uno spazio realistico; si è sempre coscienti che questo mondo sia virtuale, ma se il senso di presenza è efficace, perché è stato efficace l’effetto di immersione, allora il nostro organismo reagirà in maniera automatica atraverso delle reazioni.

Questo è proprio il nostro obiettivo: non tanto fornire sterili contenuti, quanto indurre delle reazioni, facendo fare delle esperienze agli utenti attraverso i propri organi sensoriali.
Dal punto di vista progettuale, queste reazioni devono essere veicolate verso uno specifico obiettivo: nel nostro caso, l’obiettivo è uno stato mentale migliore, maggiore collaboratività, minore percezione del dolore, maggiore aderenza alla terapia.

Facendo un parallelismo, invece che essere una “pillola digitale”, la VR è un “percorso digitale“.

Video di presentazione di TOMMI di “tommigame.com“.

TOMMI

Parliamo più nello specifico di TOMMI, e partiamo dall’aspetto tecnico: come è stato sviluppato? Con quali software, per quali visori?

TOMMI è prodotto attraverso il software Unity; dal punto di vista del supporto fisico, il primo visore adottato in origine è stato il Google Day Dream10, poi passato su piattaforme Oculus10.

Quanto è stato dispendioso sviluppare TOMMI (in termini economici e di sforzi)?

Dal punto di vista economico, è difficile stabilire un ammontare di spesa, proprio perché lo sviluppo embrionale ha coinvolto una parte importante della vita della nostra startup, in cui naturalmente lavoravamo molto più delle ore previste, ed il ritorno sull’investimento è venuto più tardi nel tempo, tramite nuovi progetti e le revenues di vendita.

TOMMI è stato sottoposto a numerose commissioni di diverse pitch competitions, attraverso cui non solo abbiamo potuto portare alla luce il nostro software per farlo conoscere a livello internazionale, ma chi ha anche dato la possibilità di ricevere sovvenzioni e premi che hanno permesso di sostenere la crescita del progetto a livello finanziario9.
Dopo la messa sul mercato di TOMMI e degli altri prodotti, naturalmente, le revenues sono arrivate tramite la vendita del prodotto ma anche dalle partnership con ospedali e cliniche.

In termini di tempo e sforzi, ci è voluto circa un anno e mezzo per procedere parallelamente su due fronti: da un lato sviluppare il progetto, dall’altro, impreditorialmente, capire come lanciarlo sul mercato.
È stato un progetto molto dispendioso soprattutto all’inizio: entrare in contatto con il primo ospedale, implementare il progetto nel reparto, capire come mantenere e coltivare il nostro rapporto con le strutture; tutto fuorché scontato, perché i decisori sono tanti e a tanti livelli.
Una volta fatto questo una volta, però, il ciclo successivo diventa estremamente più rapido.

Lo sviluppo è stato più un percorso a tentativi, oppure avete avuto determinati focus che poi avete deciso di approfondire e/o abbandonare?

In fase preliminare è importante parlare con gli ospedali, con le famiglie e con le associazioni, in modo da inquadrare il paziente e comprenderne i bisogni e le necessità.
Alcuni punti sono sempre rimasti fermi, come le meccaniche di gioco, le tipologie di attività etc. Naturalmente, una volta provato sul campo, le sue potenzialità diventano più accurate e stabili. Al momento è sul mercato in versione “definitiva”, ma è certo che più TOMMI viene implementato in ambiti diversi e più può crescere, svilupparsi e stabilizzarsi.

Analizzando solo l’aspetto progettistico e di sviluppo, soprattutto all’inizio quando individuavamo le diverse necessità del paziente, lo “scheletro” di TOMMI è cambiato molte volte in maniera anche importante.
Una volta entrati nel primo ospedale, il primo percorso pilota, la prima implementazione, alcune funzionalità risultate efficaci sono rimaste, mentre altre sono state modificate.

Quali sono i mondi virtuali all’interno di TOMMI? Come funzionano? Quali sono le differenze a livello di applicazione terapeutica tra un’attività e un’altra?

Il mondo di TOMMI si contestualizza all’interno di una stanza dei giochi, molto simile a quella di un bambino; con l’utilizzo di una bacchetta magica, l’utente può passare ad un altro spazio: l’isola magica. In questo contesto, è presente anche un libro magico che funge da menu di selezione per le diverse attività a disposizione.
All’interno di TOMMI al momento sono presenti quattro attività principali:

  • Le bolle: questa attività è pensata per i bambini più stanchi o indeboliti dalla terapia, che non hanno tanta voglia o bisogno di interazione, ma di tanto relax.
  • I camaleonti: questa attività è più cognitiva che dinamica, per bambini che sono magari ospedalizzati per lunghi periodi, e che possono giocare più a lungo in questo “mondo”.
  • Il drago: questa attività è più dinamica e permette l’interazione con un altro utente, solitamente un adulto (sia esso un genitore, un parente o un operatore). L’utente adulto interagisce attraverso una app, e i due cooperano per raggiungere insieme l’obiettivo del gioco.
    La scelta della app riguarda prettamente elementi di costo, di facilità d’uso e di logistica da parte delle strutture ospedaliere; quello che ci interessa è il valore di comunicazione e collaborazione a diversi gradi di realtà tra i due soggetti partecipanti.
  • I tamburi: questa attività è particolarmente dinamica e breve; un piccolo rhythm game in cui l’utente deve colpire degli elementi a tempo di musica. Questa attività viene utilizzata per coinvolgere attivamente e per poco tempo il bambino molto stressato o spaventato durante un trattamento (ad esempio, un prelievo di sangue).

Abbiamo deciso di realizzare diverse tipologie di attività per poter coprire e soddisfare esigenze e necessità diverse, a livello di distrazione e di dinamicità di interazione (da “poco distratto/poco attivo” a “molto distratto/molto attivo”, ndr).

Le attività presenti in TOMMI
Le attività presenti in TOMMI.
Foto tratta dal sito ufficiale di TOMMI “tommigame.com“.
Abbiamo detto che la VR favorisce anche la raccolta ed il monitoraggio dei dati biometrici; quanto è rilevante questo aspetto per gli ospedali per seguire il paziente in un mantenimento o sviluppo delle funzioni psico-motorie?

Un aspetto singolare che abbiamo riscontrato è che gli ospedali italiani si sono dimostrati piuttosto restii alla raccolta e gestione dei dati, spesso perché il loro mantenimento diventa un problema burocratico (in termini di privacy, gestione sicura del dato etc., ndr). Invece, in ambito internazionale, gli altri ospedali sono meglio organizzati e già predisposti alla raccolta dati (anche favoriti da un omogeneo o comune sistema di raccolta e gestione, ndr).
Dunque, per evitare un investimento di poca utilità, per il momento TOMMI non prevede la raccolta dati del paziente durante l’utilizzo; non abbiamo altresì intenzione di modificare TOMMI per come è adesso, ma di estendere l’ecosistema di attività con nuovi giochi appositamente adeguati per la raccolta dati.

Risulta comunque chiaro che, nel momento in cui dovessero esserci dei soggetti imprenditoriali interessati al monitoraggio, sarebbe nostro obiettivo implementare tale funzione all’interno del software.
Stiamo lavorando all’integrazione di questa feature anche in progetti distinti e specifici diversi da TOMMI.

In quali ospedali TOMMI è già attivo? In quali reparti?

Attualmente TOMMI è implementato stabilmente presso l’ospedale Regina Margherita di Torino, all’Ospedale Maggiore di Novara, al San Gerardo di Monza, al Rizzoli di Bologna, all’ospedale Infermi di Rimini, al Santissima Annunziata di Taranto, all’UTHealth School of Dentistry di Houston, Texas, e presto arriverà anche a Trento.
Tutti questi programmi si sono fermati nel 2020 a causa della pandemia, ma con le sempre maggiori riaperture anche noi stiamo riprendendo le attività.

A Houston, in particolare, si sta svolgendo il test pilota riguardo la tecnologia di raccolta dati su stress e soglia del dolore nel trattamento odontoiatrico, che ci permetterà di pubblicare l’analisi del progetto supportato da dati e risultati.

Quali implementazioni TOMMI ha ricevuto all’interno degli ospedali?

TOMMI interviene all’interno di un percorso terapeutico particolarmente stressante.
L’utilizzo può spaziare ad ogni momento, prima, durante o dopo la terapia. È stato verificato che queste condizioni provocano un distacco ed un evitamento da parte del paziente, o ancora la diminuzione del grado di collaboratività con il personale sanitario.
Questa gestione complessa del paziente provoca rapporti più complicati, ritardi nei tempi terapeutici, persino un aumento di costi per il paziente stesso, riducendo in generale l’efficacia della terapia.

Il primo caso di implementazione è il prelievo di sangue per pazienti oncologici (sperimentato a Monza).
Questo tipo di esame diagnostico è molto frequente per questi soggetti, anche ad intervalli molto ravvicinati.
Risulta facile dunque immaginare un panorama complesso in cui tanti bambini, sottoposti a frequenti prelievi, piangono e si lamentano per lo stress, il dolore, il disagio; di conseguenza, anche il lavoro degli operatori sanitari diventa più difficile.

In questo caso, TOMMI viene utilizzato (con il consenso del paziente) durante la procedura: il bambino prepara il braccio, poi indossa il visore e comincia a giocare con TOMMI con attività che non richiedano movimenti bruschi o l’uso di entrambe le mani, e nel frattempo l’infermiere esegue il prelievo.
Ciò che abbiamo evidenziato è che la percezione del dolore del paziente diminuisce del 38%-39%, e di conseguenza lo stato di discomfort, che si riduce complessivamente del 20%-25%.
Nei casi “migliori” abbiamo persino dovuto estrarre il paziente dal visore, facendogli notare che il prelievo era finito e che poteva tornare a casa!

Il secondo ambito di utilizzo è la chemioterapia, che è un percorso lungo e che provoca diversi fastidi, quali nausea o altri effetti collaterali.
L’uso della VR con questi pazienti permette di valorizzare il tempo investito nella terapia, addirittura di ridurre il senso di nausea, stanchezza ed altri side effects.

Quale impatto può avere una terapia di questo genere, anche a lungo termine, sui caregivers?

Intanto, come abbiamo detto prima, è necessario e fondamentale ricordarsi dei genitori o dei caregivers in genere nel percorso terapeutico, cercando di migliorare anche le loro condizioni.
Le attività di TOMMI permettono al genitore di avere una progressione, uno sviluppo della comunicazione leggera”, spensierata con il proprio figlio, riuscendo ad evitare una comunicazione che sia solo di monitoraggio (“come stai?”, “come ti senti?”, “stai male?” etc.). Questo specifico tipo di comunicazione può provocare, nella successiva fase adolescenziale del paziente, una complicazione dei rapporti con il genitore, a causa della sensazione di oppressione e di continuo controllo.
Inoltre, questa distrazione permette al genitore di riconquistare una parte del proprio tempo, della propria “intimità”, di recuperare un po’ di tempo da dedicare a se stesso o alla propria elaborazione del percorso.

L’attività del drago”, di cui abbiamo parlato in precedenza, è un gioco di cooperazione che permette proprio l’interazione e il confronto comunicativo tra genitore e figlio.
Essendo che il contesto visto dal bambino e dall’adulto sono diversi, ed essendo le percezioni e descrizioni soggettive (un bambino può chiamare un elemento “unicorno”, o “pokémon” etc.), lo spazio dell’attività è permeato da un continuo confronto, da uno scambio di vedute che permette all’adulto anche di comprendere meglio la maniera comunicativa del figlio.
Indipendentemente dalla buona riuscita dell’obiettivo, è soddisfacente per i due partecipanti sentire di aver trascorso del tempo insieme parlando di altro che non sia la terapia, e di aver magari creato situazioni divertenti o buffe nel tentativo reciproco di capirsi.

Bambina con genitori che passeggiano
Una bambina cammina per mano con i genitori.
Foto di “cremaoggi.it
Visto che abbiamo parlato dell’influenza che lo stato umorale del paziente ha sugli operatori, avete valutato anche l’influenza di questi benefici sulla loro performance lavorativa?

Come abbiamo detto prima, l’ambiente ospedaliero presenta diversi soggetti interessati: non solo il paziente, ma anche i caregivers o gli operatori stessi. I principali problemi in cui un operatore sanitario può incorrere sono elevati livelli di stress, o ancora burnout11, che provocano una cattiva gestione del paziente (dovuta a tutti questi fattori).

Ciò che abbiamo osservato con maggior piacere (presso il San Gerardo di Monza) è stato un ricollocamento della dimensione di comunicazione tra tutti questi attori attraverso la realtà virtuale. In questo modo, si passa da un ambiente (reale) in cui ognuno svolge il proprio lavoro singolarmente e senza comunicazione (professionalmente, ma anche concisamente e con poco contatto), ad una dimensione (virtuale) in cui vi è anche un pretesto per parlare d’altro, per entrare in sintonia dal punto di vista umano. Il medico smette di essere solo medico, il bambino smette di essere solo paziente, e il parente smette di essere solo caregiver.
Questo è uno degli effetti collaterali positivi dell’utilizzo della Realtà Virtuale in ambito terapeutico.

Per quanto riguarda dati specifici, non abbiamo raccolto nessuna informazione riguardante lo stato emotivo degli operatori, poiché per il momento ci siamo concentrati sul piccolo paziente e sui suoi cari.
È nostro interesse, comunque, studiare questo tipo di fenomeno: infatti, stiamo lavorando ad un progetto per utenti adulti anziani, e con esso intendiamo studiare anche l’usabilità del software da parte del personale medico.

Infermiere in burnout
Un infermiere in sindrome burnout.
Foto di “nurse24.it“.
Avete intenzione di introdurre anche un “percorso di formazione” o “corsi di aggioornamento” per insegnare al personale sanitario come usare TOMMI al meglio, e come integrarlo nella maniera più efficace possibile all’interno della terapia?

Lo sviluppo di questo progetto è un percorso iterativo: ad ogni criticità stabiliamo un percorso di apprendimento e risoluzione della problematica.
Al momento abbiamo attivi dei brevi percorsi di formazione per far “impratichire” il personale che andrà ad implementare TOMMI prima dell’effettivo utilizzo.
Nel momento in cui entriamo in un nuovo ospedale, è possibile che emergano delle nuove criticità che a loro volta formeranno delle nuove test practices.
Il contatto che noi abbiamo con gli ospedali avviene a tutti i livelli (dirigenziale ed operativo), per fare in modo di avere un’analisi quanto più completa e approfondita delle criticità.

Il futuro di Softcare Studios

Per chiudere, quali sono i progetti futuri per Softcare Studios?

I nostri sforzi protendono verso nuovi target di pazienti, come adulti o anziani.
Per questo tipo di soggetti il nostro obiettivo è la conoscenza e la sensibilizzazione alla terapia (come, per esempio, la risonanza magnetica), in modo da far conoscere loro il tipo di terapia e le sensazioni che essa genera prima di doverla affrontare.
Questo obiettivo è sempre legato alla riduzione dello stress, che favorisce allo stesso tempo l’empowerment12 verso la terapia stessa; con questo strumento è possibile far vivere le stesse sensazioni della terapia reale, con il vantaggio della fedeltà e dell’infinita replicabilità (come una sorta di terapia d’esposizione).
Il progetto si chiama NOA, ed è in sperimentazione preliminare in Abruzzo.

Per quanto riguarda i pazienti adulti, stiamo lavorando su soggetti affetti da malattie rare del sangue (come talassemia13 e Sickle Cell Desease14). In questo progetto si punta ancora sulla gestione dello stress, ma anche sulla stimolazione delle funzioni cognitive e desease awareness del paziente.
Attraverso studi approfonditi su queste sperimentazioni, potremo sviluppare anche diverse attività e contenuti sempre più specifici per le necessità di ogni singolo soggetto.

Katty Lauriola: implementazioni di TOMMI e casi-studio

Dunque, abbiamo visto come TOMMI e la Realtà Virtuale in generale si contestualizzano all’interno del panorama ospedaliero e terapeutico.
Ma quali sono i risultati concreti dell’applicazione di questo strumento?
Ne parliamo con Katty Lauriola, educatrice professionale che, nel suo percorso di tirocinio presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Maggiore della Carità di Novara, ha seguito alcuni piccoli pazienti (parleremo di due casi-studio in particolare) nell’utilizzo di TOMMI.

Terapie tradizionali e problemi nei reparti oncologici

Katty, quali sono le principali malattie oncologiche pediatriche che ti è capitato di osservare e le conseguenti terapie?

Principalmente mi è capitato di osservare pazienti con leucemia15, e in numero minore tumori cerebrali o sarcomi16.

La terapia principale per la cura della leucemia è la chemioterapia; in alcuni tipi di tumori (come il sarcoma e l’osteosarcoma) in cui si formano delle masse tumorali, si può intervenire anche attraverso operazione chirurgica.

Alla fine del ciclo di chemioterapia si valuta l’efficacia del trattamento; spesso, alla leucemia viene associato il trapianto di midollo spinale, che consente anche l’innesto di midollo, in grado di produrre cellule sanguigne sane.
In seguito alla buona riuscita del trattamento, si inizia la “terapia di mantenimento“, attraverso assunzioni di medicinali per via orale; inoltre, vengono eseguiti frequenti esami di controllo e follow-up, e prelievi di midollo per controllare che la situazione sia stabile e in miglioramento.

In ogni caso, tutto il percorso terapeutico è molto provante dal punto di vista psicologico: si inizia al mattino con gli esami del sangue; poi, se questi non fossero stabili, si dovrebbe posticipare la visita (che comporta dunque un “viaggio a vuoto” in ospedale), oppure procedere con la trasfusione.
Infine, alla fine del ciclo di chemio, i pazienti sono tenuti a portare un catetere centrale che devono tenere anche al di fuori della struttura ospedaliera.

Ci sono delle problematiche psicologiche specifiche per i pazienti affetti da leucemia?

In generale, una malattia così grave può portare il paziente ad una regressione cognitiva e/o motoria.
Al contrario, però, si può osservare che vi sono pazienti che reagiscono in maniera opposta: sviluppano nuove competenze, affrontano la malattia attivamente e proattivamente.

Nel caso dei pazienti pediatrici, la risposta “attiva” fa apparire il bambino come un “bambino-adulto”; egli infatti si fa carico del proprio stress e cerca di compensare alle paure del genitore (ci sono episodi in cui è il bambino a consolare il genitore, ad esempio dicendo: “sto bene, non sento dolore”).
Certo, entrambe queste reazioni possono avere dei pro e dei contro: nel caso di regressione, c’è una ovvia diminuzione delle capacità cognitive e manuali, che andranno recuperate attraverso la terapia riabilitativa; nel caso della “proattività“, invece, può succedere che il bambino “consapevole” non parli della propria malattia, soffochi i propri timori, sentimenti o dubbi (fenomeno di mascheramento o di incapacità di verbalizzare), pur di rinfrancare i genitori.

Bambina malata oncologica
Una piccola paziente oncologica.
Foto di “balarm.it
Come avviene la comunicazione da parte del personale medico nei confronti dei piccoli pazienti?

Su questo aspetto si sono fatti grandi passi avanti nel rapporto tra medico e paziente infantile: il bambino al giorno d’oggi è informato della propria malattia e del trattamento a cui viene sottoposto (naturalmente nelle modalità consone a comunicare con un bambino), e non è più alienato da questi aspetti.

Un esempio virtuoso è quello dell’ospedale Santa Margherita di Torino, che utilizza una presentazione dove si vede un prato con dei bei fiori che germogliano e crescono; ad un certo punto si presentano anche delle piante infestanti (rappresentanti il tumore) che distruggono i fiori (globuli etc.).
A questo punto si presenta la figura del giardiniere (il medico) che spruzza questa medicina (la terapia farmacologica) per distruggere le piante cattive; purtroppo, nel processo, anche alcune piante buone vengono danneggiate (come la chemioterapia distrugge anche le cellule sane).
Questi modelli comunicativi permettono anche ad un bambino piccolo (persino di 3 anni) di prendere relativa coscienza dell’evento malattia.

Un esempio opposto invece è quello di un bambino di 3 anni che si è reso conto del suo stato di malattia, ma che è stato estraniato dal prendere coscienza dell’entità della sua patologia, poiché ritenuto troppo piccolo e non in grado di capire; questo atteggiamento estraniante ha comportato una regressione sia fisica che cognitiva del bambino.

Quali problematiche a livello psicologico ti è capitato di incontrare nei caregivers?

L’aspetto più comune è l’ansia, legata soprattutto al non sapere come supportare adeguatamente il proprio figlio, e di non sapere come può andare a finire questa malattia.
In generale, il genitore si trova in una condizione di caos generale che li riempie di informazioni ed esige informazioni (come i dati di anamnesi o profilassi da parte dei medici, o aggiornamenti da parte degli altri parenti).

Un altro problema è quello della difficoltà comunicativa con il proprio bambino, l’incapacità di comprendere i loro segnali, oppure se i piccoli pazienti sono in grado o meno di capire ciò che accade loro.

Quindi, anche i genitori hanno bisogno di essere ascoltati, e non solo di avere la presenza di un medico che si mostra intervallando i lunghi periodi di attesa che comportano i vari cicli di terapia. Durante l’attesa la mente del genitore viaggia, e si generano pensieri sconfortanti oppure domande che non hanno risposta, aumentando l’ansia.

Come vengono supportati i parenti, sotto questo aspetto?

Un fenomeno di supporto che ho osservato è quello della formazione spontanea di “gruppi di supporto” o di confronto tra genitori; si ritrovano a parlare dei propri figli e delle rispettive patologie, di come hanno reagito a determinati avvenimenti e chiedendo un feedback agli altri.
Questa condizione di “mutuo aiuto”, formatasi autonomamente, è stata sfruttata per supportare i genitori frapponendo tra loro una figura interlocutoria (come un educatore o uno psicologo). Alcune delle domande dei genitori riguardano l’incapacità di rispondere ai propri figli a domande spiazzanti come: “mamma, ma io quando devo morire?”.

Le implementazioni di TOMMI

Parliamo ora di TOMMI, come viene usato nel pratico in reparto?

TOMMI, come detto, è un software che svolge una funzione “distrattiva”, quindi appunto per distrarre il piccolo paziente dalla terapia farmacologica.
Questo supporto può essere messa in atto prima, durante o dopo la terapia, con la funzione di riduzione dello stress e del dolore percepito.

In particolare, TOMMI viene usato prima della terapia con bambini molto spaventati, nervosi o desiderosi di scappare; durante la chemioterapia per distogliere l’attenzione del paziente dal dolore dell’ago e dal bruciore sottocutaneo; infine, dopo la terapia farmacologica per “premiare” la resistenza la sopportazione del bambino.
Questa distrazione è così accattivante ed efficace che alcuni bambini hanno chiesto: “quando torniamo a fare la terapia?” perché erano desiderosi di giocare ancora con TOMMI (come premio per il loro coraggio e la loro tenacia).

Bambina con visore VR
Una bambina gioca con il visore VR.
Foto di “crutechweb.altevista.org

Primo caso-studio: M. (8 anni, leucemia)

Analizziamo più nel dettaglio alcuni casi-studio di cui ti sei occupata durante il tirocinio.
Il primo è quello di M., una bambina di 8 anni malata di leucemia; ci puoi fare un riassunto generale della condizione iniziale?

M. è una bambina di 8 anni malata di leucemia, ed è stata in terapia per quasi un anno.
M. fa parte di quella categoria di bambini “proattivi“, che ha sviluppato nuove competenze, un livello di consapevolezza abbastanza alto, ed una capacità di affrontare la malattia in modo positivo (in un messaggio vocale che conservo, lei mi ha detto: “da questa malattia si può anche guarire, con l’aiuto dei medici e con le terapie”).

La bambina non ha mai avuto problemi a parlare della sua malattia; tuttavia, subentravano in alcuni momenti emozioni come la paura delle conseguenze e la vergogna e disagio sociale per la perdita dei capelli (M. andava molto fiera della propria chioma bionda; dopo la terapia, i capelli le sono ricresciuti completamente, ndr).
A livello fisiologico ha riscontrato nausea, spossatezza, stanchezza, qualche ulcera nella bocca o eritemi.
Tutto sommato, però, il suo è stato un decorso terapeutico “tranquillo”.

I genitori (entrambi insegnanti) hanno supportato molto M. e l’hanno tenuta sempre informata e resa più consapevole della malattia.
La mamma ha seguito più frequentemente la bambina nella sua terapia, e a causa di ciò ha segnalato senso di stanchezza, fatica nel gestire la sofferenza della figlia, i suoi dubbi e perplessità.
Il papà, che si alternava con la mamma, è stato quello maggiormente colpito dal decorso dei trattamenti. Questa apprensione si manifestava nei momenti critici in cui M. chiedeva rassicurazioni prima della terapia, durante cui il papà rimaneva spiazzato.
Anche la proposta di usare TOMMI l’ha sorpreso: egli infatti temeva che la Realtà Virtuale potesse estraniare la bambina dalla realtà; voleva mantenere un contatto con la realtà, si irrigidiva all’idea dell’uso di pratiche palliative, che potessero dare false speranze (la madre, invece, si è sempre dimostrata favorevole ad ogni proposta che potesse alleviare le sofferenze della figlia).

Quale attività di TOMMI è stata utilizzata con M.? Perché?

M. ha utilizzato TOMMI prettamente con il papà, e hanno giocato insieme all’attività del Drago.
L’obiettivo del gioco, calato nel contesto di un bosco incantato, è quello di riconoscere forme geometriche in un determinato ordine e il loro colore.

Se invece il papà non era presente, M. chiedeva di poter svolgere l’attività dei Camaleonti.
In questo gioco, alcuni camaleonti comparivano a schermo e si mimetizzavano dopo un breve lasso di tempo, e l’obiettivo principale era ritrovarli tutti.

La mamma ha accusato effetti indesiderati di motion sickness (o “nausea da movimento”) e perciò non ha potuto svolgere le attività insieme alla figlia.

Il drago, attività di TOMMI

L’attività del Drago.
Foto di “tommigame.com

I camaleonti, attività di TOMMI

L’attività dei Camaleonti.
Foto di “tommigame.com

Quali sono stati i principali benefici che M. ed i suoi genitori hanno riscontrato durante l’utilizzo di TOMMI?

Per M. è stato sicuramente uno strumento fondamentale: prima del suo utilizzo c’erano momenti in cui l’ansia ed il nervosismo aumentavano, con crisi di pianto ed agitazione.
L’uso di TOMMI durante la terapia farmacologica l’ha aiutata molto a scaricare la tensione, a distrarsi dalla somministrazione e a rilassarsi. Inoltre, ha avuto degli effetti positivi rispetto alle reazioni fisiologiche quali il vomito o una riduzione della soglia del dolore.

Inoltre, il coinvolgimento e il divertimento ha fatto sì che a volte M, tornata a casa, chiedesse ai genitori: “quando torniamo in ospedale per giocare con TOMMI?“; tra l’altro, l’effetto “novità” che una tecnologia innovativa e non ancora così a portata di mano per i bambini come la VR ne ha fatto un argomento di conversazione interessante tra M. ed i suoi compagni.

Per i genitori è stato “rasserenante” vedere la figlia non agitarsi per il dolore, e anzi divertirsi ed intrattenersi con un’attività distraente. Essendo poi un’attività condivisa tra genitore e figlia, M. ed il papà hanno potuto stabilire un contatto relazionale ancora più stretto, alleviando anche le sue preoccupazioni.

Secondo caso-studio: V. (5 anni e mezzo, leucemia).

Il secondo caso-studio riguarda invece V., bambina di 5 anni e mezzo, anch’essa malata di leucemia.
Ci fai ancora una volta un piccolo quadro generale?

V. è una bambina di 5 anni e mezzo, malata di leucemia.
Rispetto a M., V. ha presentato una “stagnazione” cognitiva, dovuta soprattutto all’ansia indottale dalla madre; ciò ha portato ad una mancata consapevolizzazione (dovuta anche all’età), ma per fortuna non ha subito regressioni.
La bambina manifestava diverse emozioni, tra cui rabbia, frustrazione ed ansia; esse si presentavano sotto forma di “capricci” o di domande impazienti, come: “ma quando finiamo?”, oppure: “quanto dura la terapia oggi?”, oppure ancora: “possiamo andare via adesso?”.

Inoltre, c’è da notare che le terapie distrattive tradizionali non avevano effetto su di lei, poiché non riuscivano a coinvolgerla o ad attrarre la sua attenzione a sufficienza.

La mamma era parecchio ansiosa, aveva parecchio bisogno di parlare con qualcuno, con me, con uno psicologo o anche con altri genitori.
Un aspetto negativo è stato quello di “tagliare i ponticon gli amici, poiché ponevano domande sulle condizioni della figlia a cui lei non rispondeva volentieri.
La sua ansia si manifestava con movimenti concitati e nella verbalizzazione.
Il papà non ha mai accompagnato V. all’ospedale, e questo può aver procurato alla madre un ulteriore “peso” da sobbarcarsi.
Spesso, in questi casi, la presa in carico “esclusiva” è appannaggio della madre, figura accogliente e confortante; la reazione paterna, invece, è quella più spinta al supporto attraverso il lavoro (il sostegno della famiglia, ma anche forma di autodifesa nei confronti dell’evento traumatico).

Quale attività di TOMMI è stata utilizzata nel caso di V.? Perché?

V. ha utilizzato molto poco TOMMI, solo in un paio di sedute, a causa dell’effetto indesiderato di motion sickness.
Con lei (non ancora in grado di leggere, ndr) è stato usato il gioco dei camaleonti, perché era più semplice ed intuitivo; all’occorrenza, la mamma indossava il visore per spiegarle sulle procedure e sull’obiettivo del gioco.
Anche la sua soglia di attenzione, non molto alta, non permetteva di sfruttare attività troppo complesse, per non sovraccaricarla di ulteriore e controproducente stress.

L’uso di TOMMI in queste due sedute è stato adibito alla fase precedente il trattamento, per distoglierla dall’attesa e dall’ansia della terapia.

Il libro magico all'interno di TOMMI
Il “libro magico” di TOMMI.
Foto fornita da Softcare Studios.
Quali sono stati i benefici che V. ha riscontrato dopo l’utilizzo di TOMMI e in confronto con le attività tradizionali?

Purtroppo due sedute non sono sufficienti per stabilire un’efficacia statistica di TOMMI, però è stato evidente il beneficio che V. ha dimostrato rispetto alle attività tradizionali.
Quando le cercavo di proporre delle attività (come un gioco, il raccontare una storia o fare un disegno), queste venivano percepite come un ulteriore compito, piuttosto che un’attività divertente o stimolante.
TOMMI, invece, come per M., riscontrava nella bambina un fascino infinitamente maggiore sia per le attività da svolgere che per l’effetto “novità” dello strumento stesso.

Conclusioni

Si è visto quanto il percorso terapeutico di un paziente sia complesso ed articolato, ed abbracci una moltitudine di fattori. Non è solo il malato a soffrire per la propria malattia, ma altrettanto sono coinvolti anche i parenti; inoltre, un ruolo non indifferente lo ricoprono gli operatori sanitari, che devono svolgere il proprio compito in maniera precisa, puntuale, ma anche umana.
Softcare Studios e gli operatori sanitari come Katty si impegnano giornalmente per alleviare le sofferenze psicologiche di questi pazienti, evitando la somministrazione di medicine e farmaci non essenziali.

La tecnologia VR può sopperire a questi bisogni attraverso progetti come TOMMI, due software “nati e cresciuti” in Italia.
Ci auguriamo che sempre più creatori di contenuti si interessino a questo tipo di attività e che la medicina possa fare sempre più progressi nel trattamento del paziente a 360 gradi.

Fonti

1. Nel 1954 lo psicologo Abraham Maslow propose un modello motivazionale dello sviluppo umano basato su una gerarchia di bisogni, disposti a piramide; in base a ciò la soddisfazione dei bisogni più elementari è condizione necessaria per fare emergere quelli di ordine superiore.
Si può approfondire l’argomento in “La piramide dei bisogni di Maslow” in “psicologiadellavoro.org”.

2. Alla base del Disturbo di “somatizzazione” vi sono lamentele fisiche ricorrenti e molteplici, della durata di diversi mesi o anni; esse portano chi ne è affetto a richiedere le cure dei medici, ma che apparentemente non sembrano avere una causa organica.
Si può approfondire l’argomento in “Somatizzazione (somatizzare): sintomi e cura” in “ipsico.it”.

3. Il modello di elaborazione del lutto, in psicologia, è un percorso che porta il soggetto all’accettazione dell’evento traumatico; esso è composto da diverse fasi (negazione, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione).
Si può approfondire l’argomento in “separazione, le cinque fasi del lutto” in “aiges.org”.

4. Il termine siblings, dall’inglese, significa genericamente “fratello/sorella”, o più genericamente “persona con cui si è fratelli”.
In psicologia, questo termine è utilizzato per rappresentare i fratelli/sorelle di persone con disabilità.
Si può approfondire l’argomento in “Essere Sibling: cosa vuol dire essere fratelli e sorelle di persone con disabilità?” in “mamma.moondo.info”.

5. Il pensiero secondo cui il bambino sia in grado di far soffrire qualcuno per la propria rabbia è frutto del “pensiero magico”.
La psicologia e l’antropologia considerano il pensiero magico come la descrizione di attribuzioni illogiche a determinate cause, senza la mediazione di alcuna prova empirica (“lamenteemeravigliosa.it”).

6. Si può approfondire l’ecosistema di Softcare Studios e di TOMMI in “softcarestudios.com/it” e in “tommigame.com/tommi”.

7. L’Hackathon è un evento della durata di uno o più giorni destinato ad informatici e dedicato alla collaborazione intensiva su un progetto comune, specialmente in materia di software.
Si può approfondire l’argomento in “Hackathon: la scorciatoia per i programmatori” in “ionos.it”.

8. Si può approfondire l’esordio di TOMMI nel programma Merck Group in “merckgroup.com

9. Il progetto TOMMI ha partecipato e vinto diversi programmi di accelerazione, quali: Pfizer Healthcare Challenge (Berlino, 2017); il percorso di accelerazione Pharma Merck (Germania, 2017); TMCX del Texas Medical Center (Houston, TX, 2018); Accelerace (Copenaghen, 2018); Bando Salute Puglia (2018); Global Startup Program di ICE (Londra, 2019); Startup Europe Awards (Sophia, 2019); X-Euro (Online, 2020).
Inoltre, attualmente detiene collaborazioni con Rorsch, Novartis, ospedali e cliniche.

10. Si può approfondire l’ecosistema di visori Google in “arvr.google.com/daydream/“.
TOMMI è stato sviluppato e utilizzato su Oculus GO, Oculus Quest e Oculus Quest 2.
Si può approfondire l’ecosistema Oculus in “oculus.com“.

11. Il burnout (dall’inglese “to burn out”, “bruciarsi”) è uno stato di esaurimento sul piano emotivo, fisico e mentale. L’OMS classifica questa sindrome come una forma di stress lavorativo che non si è in grado di gestire con successo.
Si può approfondire l’argomento in “cos’è il burnout?” in “css.ch”.

12. L’empowerment (dall’inglese “to empower”, “migliorare”, “accrescere”) è un processo attraverso il quale le persone possono acquisire un maggiore controllo sulle decisioni e sulle azioni che riguardano la loro salute.
Si può approfondire l’argomento in “L’empowerment del paziente” in “stateofmind.it”.

13. La talassemia è una malattia ereditaria del sangue; essa è caratterizzata da un’anemia cronica dovuta alla sintesi ridotta o assente della proteina responsabile del trasporto dell’ossigeno.
Si può approfondire l’argomento in “Talassemia: news su farmaci, terapie, sperimentazioni e qualità della vita” in “osservatoriomalattierare.it”.

14. La Sickle Cell Desease, o anemia falciforme, è una malattia ereditaria del sangue, caratterizzata da globuli rossi a forma di falce (o mezzaluna) e da anemia cronica dovuta all’eccessiva dei globuli anomali.
Si può approfondire l’argomento in “Anemia falciforme” in “msdmanuals.com”.

15. La leucemia è un tumore del sangue causato dalla proliferazione incontrollata di cellule staminali; queste sono cellule primarie ed immature che sviluppandosi danno vita ai globuli bianchi, rossi e alle piastrine.
Si può approfondire l’argomento in “Leucemia” in “ail.it”.

16. I sarcomi sono un gruppo eterogeneo di tumori che si sviluppano in diversi tessuti corporei.
Si può approfondire l’argomento in “Sarcomi, i tumori maligni dei tessuti molli e dell’osso” in “nurse24.it”.