Immagine che richiama l'immaginario di Matrix

L’esperienza che viviamo in quanto individui rappresenta la vera essenza delle cose o costituisce un retaggio culturale trasmesso di generazione in generazione?
Per tentare di rispondere a questa domanda dobbiamo provare a capire che cosa si intende attraverso il termine “realtà”.

Ironica definizione di “realtà”

Due settimane fa ci siamo lasciati dopo aver fatto una scoperta: quando si ha a che fare con strumenti dal potenziale immersivo, si ha a che fare con una vera e propria “arma a doppio taglio”.

L’articolo The “Dark side” of VR terminava infatti affermando che la capacità di originare realtà alternative, costituisce senza dubbio il più grande pregio di questa tecnologia, ma allo stesso tempo anche l’elemento in potenza più dannoso.

Le conclusioni alle quali siamo giunti e varie delle riflessioni che abbiamo intrapreso si avvalgono di un concetto apparentemente scontato che merita una trattazione più approfondita.

Oggi, attraverso un breve “off-topic”, tenteremo di rispondere alla domanda:

Cosa si intende attraverso il termine “realtà”?

Ci soffermeremo sul significato di questo termine, tanto controverso da poter risultare ossimorico.

Lo faremo partendo dalla seguente provocazione:

Qual’è il confine fra reale e virtuale?

Il fulcro dell’argomento è il funzionamento del cervello umano.

“Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento”. 

Charles Darwin

Adottando una prospettiva darwiniana possiamo affermare che il fine ultimo di tutti gli esseri viventi è la mera perpetuazione della specie. Gli uomini, come anche gli animali e le piante, nel corso della loro storia sono progrediti. Il loro evolversi, migliorare, è consistito nello scartare caratteristiche (fisiche/psicologiche) da una parte e adottarne dall’altra.

La nostra visione del mondo, della realtà intesa come ciò che ci circonda, è quindi derivata dal nostro patrimonio genetico.

La concezioni aprioristiche delle quali siamo dotati fin dalla nascita (alle volte scientificamente false) altro non sono che il risultato di un processo di selezione avvenuto nel corso del tempo per garantire le percentuali più alte possibili di esistenza dell’uomo.

La rappresentazione dello spazio e degli oggetti in esso è trasmessa per via genetica, non ha bisogno di esperienza, è un “a priori” umano che, ad esempio, ci fa percepire la terra piatta e immobile nell’universo e il mondo più gradevole di quanto in realtà sia”.

Arnaldo Bernini

La cosa interessante da notare, è che si tratta di un autentico auto-inganno

Ciò che comunemente si intende attraverso il termine “realtà” altro non è che pura apparenza. Altro non è che “virtualità”, un qualcosa di astratto, artificioso, fittizio. Si tratta di un filtraggio, di una rappresentazione mediata, dal nostro cervello ma pur sempre mediata.

Scena tratta dal film: “Matrix” (1999) all’interno della quale il protagonista deve scegliere se continuare a vivere all’interno di un’illusione o se diventare finalmente conscio.

Ciò che chiamiamo realtà è in verità una costruzione dell’uomo, costituisce l’interpretazione di dati sensoriali. L’interpretazione deve soddisfare il bisogno tipicamente umano di dare significato, razionalizzare l’esperienza in modo da renderla accettabile e sopportabile.

Questo meccanismo permette di stemperare la fredda essenza deterministica presente in ogni cosa.

Non percepisco un agglomerato di atomi ma un bicchiere, degli occhiali, una sveglia.

Possiamo affermare che, paradossalmente, un uomo e un caschetto VR non sono così diversi. Entrambi costituiscono dei “dispositivi” che permettono di interpretare un contesto, di vederlo da un punto di vista che rimane in entrambi i casi soggettivo e di interagire con esso.

Le ripercussioni comportamentali

Il ragionamento che abbiamo fatto ci ha mostrato quanto labile può essere il confine fra reale e virtuale. Per lo meno da un punto di vista teorico.

Ciò che quotidianamente chiamiamo “realtà” ci appare più veritiero (oggettivo) perché è come se si collocasse a un livello di astrazione molto più basso rispetto a quanto apprezzabile grazie ai visori. In sostanza, è come se avessimo inconsciamente sempre indosso un “visore da umani”.

Ma se ci trovassimo concretamente in una situazione nella quale fatichiamo a a distinguere la nostra realtà da quella virtuale?

Il contesto all’interno del quale agiamo, che sia esso il costrutto mentale da noi fatto o una dimensione alternativa creata al computer, va a modificare e plasmare la nostra psiche. Ci determina. Madary e Metzinger sostengono che le persone affette da alcuni disturbi psichiatrici potrebbero avere delle esperienze di sdoppiamento, distinguendo con difficoltà:

  • il mondo reale da quello artificiale;
  • la propria persona, il proprio sé da un avatar

 

Fonti

4/5/2020, “Neuroscienze: come il cervello costruisce la nostra visione del mondo” in pensierocritico.eu;

22/1/2018, Panoramica di possibili rischi della realtà virtuale” in Augmenta;

Cosimi S., 4/1/2016, “Il lato oscuro della realtà virtuale: non solo nausea e mal di testa” in La Repubblica;

Madary M., Metzinger T. K., 19/2/2016, “Real Virtuality: A Code of Ethical Conduct. Recommendations for Good Scientific Practice and the Consumers of VR-Technology” in Frontiers in Robotics and AI.